Gli effetti della omessa comunicazione di dati sanitari
Sulla falsariga di una precedente sentenza (cfr. sent. 13547/12 - alt allo scaricabarile) ancora una pronuncia degli ermellini in tema di inadeguata trasmissione di dati sanitari tra un professionista e l’altro, essenziale per evitare errori e gravi danni al paziente, ove la responsabilità del curante non finisce con il ricovero paziente. Nella fattispecie trattasi di materia ginecologica ma il principio, come sempre, sia in ambito giuridico che deontologico, riguarda anche il medico e l’odontoiatra.
I fatti
Un ginecologo aveva erroneamente praticato ad una paziente di 20 anni un trattamento di stimolazione ormonale con gonatropine per la cura di irregolarità mestruali che non rendeva possibile la gravidanza. Il trattamento aveva provocato una prima gravidanza che non giungeva a termine per aborto, alla quale seguivano l’asportazione di entrambe le ovaie e un intervento di salpingectomia bilaterale per una cisti sull’annesso di sinistra. Interventi evitabili se la struttura fosse stata messa al corrente della corretta anamnesi e del seppure errato percorso di cura a cui era stata sottoposta la paziente.
La Corte di appello di Roma, con sentenza del 13 aprile 2010, aveva escluso il nesso di causalità tra il precedente trattamento ormonale praticato dal ginecologo e l’intervento chirurgico effettuato ritenendo che l’evento dannoso dovesse essere esclusivamente ascritto ai chirurghi, che avrebbero dovuto eseguire accurati esami e quindi rinviare l’intervento, ribaltando così il precedente del tribunale di Roma secondo cui invece l’operazione non necessaria era stata determinata dalla mancata comunicazione dell’errata terapia farmacologica precedente.
La suprema corte accoglieva il ricorso, con rinvio per nuova valutazione, per le seguenti motivazioni.
“… la condotta del ginecologo, proprio in relazione all’obbligo anche deontologico di garanzia e di compartecipazione alle scelte del ricovero urgente, evidenzia una gravissima condotta negligente e omissiva verso i medici che intendevano effettuare un intervento, che non doveva essere ablativo, ma conservativo e con tutte le attenzioni e cautele del caso, anche con il trasferimento della paziente in un ospedale attrezzato, peraltro non distante dai luoghi della clinica”.
“Resta allora evidente che «sotto il profilo causale, l’inadempimento del medico al dovere di cura e di compartecipazione in una situazione di emergenza, non è occasione di sventura, ma concausa, e se tale concausa ha natura omissiva, è tuttavia fattore determinante di un intervento chirurgico che avviene presso una struttura inidonea al punto che un intervento conservativo si trasforma nella lesione della integrità della giovane donna che mai avrebbe pensato e acconsentito di venire sterilizzata».
Mario Aversa